Mi ero sorpreso di vedere qualche
settimana fa alla partenza in via de' Calzaiouli quel forte maratoneta lombardo
barbuto e con l’orecchino, dall’aspetto piratesco e simpatico, che ho sempre
visto volare nelle maratone e con un personale di tutto rispetto: 2ore e 24’
ottenuto a Marengo nel 2006. È Pietro Colnaghi.
di Gianluca Di Meo
Già l’anno passato mi sorprese la
presenza non priva di polemiche di Alberico Di Cecco, fortissimo maratoneta
olimpionico, incappato in un episodio doping che lo aveva costretto a scontare
una squalifica qualche anno prima. Ed era stata una sorpresa vederlo sfidare un
Calcaterra alla 100km del Passatore. Fu così meno agevole per l'atleta romano
arrivare primo in piazza del Popolo a
Faenza rispetto alle precedenti cinque edizioni. L’affacciarsi ogni anno di
questi forti maratoneti nel mondo dell'ultramaratona mi aveva fatto pensare, da
una parte al movimento in crescita positivamente per la nostra nazionale, ma
anche con un po’ di diffidenza,
riflettendo poi sul motivo di questo spostamento di interesse di forti
atleti, rispetto alle vecchie 100km eroiche, in cui c'era spirito di conquista,
di follia, di genuinità, un po’ come i
vecchi Giri d’Italia ciclistici di Coppi e Bartali con i tubolari attorcigliati
al corpo e la fame negli occhi, lontani anni luce dai noiosi, livellati,
bombati del ciclismo dei giorni nostri.
Non sono qui a scrivere puntando
il dito contro nessuno, né tantomeno su Colnaghi che aspetta ancora il verdetto
delle controanalisi, e neanche in quel caso mi sentirei di giudicare una
persona che può avere sbagliato, anche in buona fede, anche ingenuamente.
Spesso si può ignorare la composizione di un prodotto assunto per fini
terapeutici o dimenticarsi di consegnare il certificato di assunzione prima
dello svolgimento della competizione. Anche se la lista delle scuse e di
certificati post positività ha una lunga e datata coda: dal pianto
di Merckx nella stanza d’albergo di Albisola per una borraccia
“scambiata”, al Lipopil per digerire le fettuccine di mamma Peruzzi, alle
caramelle peruviane alla cocaina di Simoni, allo shampoo al Nandrolone di
Fernando Couto… e così via.
Ci sono varie categorie di
doping, che si sono arricchite ed evolute nel tempo: dagli stimolanti che
annullano il senso di fatica, anabolizzanti che aumentano la sintesi proteica e
incrementano la forza, ai betabloccanti che riducono il consumo di ossigeno e
abbassano i battiti usati negli sport di concentrazione, alle sostanze coprenti
di altre sostanze come i diuretici, agli ormoni, corticosteroidi con effetto antinfiammatorio, anestetici, all’emotrasfusione
del sangue e il doping di nuova generazione, la manipolazione farmacologica del
sangue, quello più pericoloso e difficile da rintracciare perché sempre in
continuo sviluppo, un passo avanti rispetto ai controlli.
Frequento il mondo dello sport da
25 anni, da ragazzo come ciclista, ed è sempre stato così: uno schifo. Prima
però si tendeva ad insabbiare le positività scomode, a fare controlli finti e
culminate con la chiusura per anni anche del nostro laboratorio di analisi più
importante, l’Acqua Acetosa. Col tempo nei tribunali molti ex vuotarono il
sacco. Si parlava di urine scambiate, nascoste in bagno nella carta igienica o
addirittura urine di altri nascoste nel sedere in preservativi; si parlava del
finanziamento da parte delle nostre maggiori istituzioni sportive alla ricerca
di come l'eritropoietina potesse influire sulle prestazioni sportive e
modificare i parametri umani sul recupero. Chiaramente si dichiarò che non si
sapeva cosa si stesse finanziando per miliardi ma le nostre nazionali,
soprattutto del ciclismo, in quegli anni vincevano tutto: dalla Milano Sanremo
di inizio stagione al Giro di Lombardia che la chiudeva. Potrei addentrarmi
anche più specificamente e precisamente su fatti ben accertati, ma è un
argomento tanto vario ed interessante che lascio la discussione per un'altra occasione.
Il doping nello sport è figlio di
una cultura, di una società, scarsa di principi, di valori, una società in cui
violare le leggi, cercare scappatoie, sfruttare amici e conoscenti in tal posto
per aggirare l'ostacolo, non rispettare il prossimo e cercare di incularlo
sembra la strada migliore.
Medici di società che fungevano
da controfigura a veri santoni, stregoni dell’illecito il cui motto era:
"tutto quello che non viene trovato ai controlli non è da considerare doping”.
Anche i media hanno le loro
responsabilità, perché non hanno esitato a esaltare le gesta eroiche dei
campioni “farciti” guardando con fastidio e screditando chi invece parlava di
frode sportiva, rischi per la salute e doping.
E non voglio quindi puntare il
dito su un atleta trovato positivo e usarlo come capro espiatorio, come se
fosse l'unico a farlo, come è stato crocefisso prima che si decidesse di
cambiare il sistema marcio, un ragazzo senza capelli dal cuore d’oro che
gettava la sua bandana prima di attaccare e farci emozionare, bersagliato come
dopato dai media e, conseguentemente, dalla gente comune.
Si, perché la gente non riesce a
capire la differenza tra una sostanza e l’altra, sulle leggi non scritte di un
sistema di ipocrisia, falsità, omertà che fortunatamente sta cambiando.
Per lo spettatore medio il doping
è la bomba di Fantozzi, qualche sostanza in grado di darti energia, di farti
sentire Superman, come gli spinaci di braccio di ferro. Per lo spettatore medio
una polverina che siano sali minerali, maltodestrine, creatina o un ormone sono
la stessa cosa; e vedi amatori che comprano i prodotti vincenti e sembra che il
sudore, la fatica, i sacrifici, la genetica servano molto meno di una bibita
energizzante. Li vedi assumere prodotti colorati che potrebbe essere anche
acqua sporca e immediatamente si sentono vitali, dei superman.
Sembrerà troppo banale e
retorico, ma è proprio la cultura della società in cui viviamo che crea questa
tendenza in ogni ambito della nostra vita. Dalla politica, alle frodi fiscali e
allo sport.
Bisognerebbe partire dalle
scuole, educando i bambini, bisognerebbe insegnare loro che vincere è bello ma
è anche importante come; con lealtà, con il rispetto delle regole, il rispetto
per l'avversario, accettando i propri limiti e riconoscendo chi è più forte di
noi e, conseguentemente, avendo il rispetto di se stessi. Ed invece si insegna
ai piccoli come imbrogliare l’arbitro, simulando, con la complicità degli
stessi allenatori, si insegna a picchiarsi in campo, ad essere scorretti e
questo atteggiamento parte in primis da chi invece dovrebbe educarli.
Bisognerebbe insegnare loro le conseguenze di questi gesti, delle scorrettezze
e della non lealtà.
Quel signore un po' in soprappeso
che quest'anno alla 100km del Passatore è arrivato mezz'ora prima della mia
ragazza saltando nel buio della notte in auto 2 o 3 volte per accorciarsi il
percorso crede di non essere stato visto? Forse è stato l’unico? Il problema è
un Colnaghi o un Di Cecco o il problema siamo noi? SIAMO TUTTI NOI? Quel
signore che soddisfazione potrà avere avuto a finire una 100km in quel modo?
Non aveva pazienza di metterci 3 ore in più? Ognuno ha la sua dignità e il
rispetto per se stessi è soggettivo. Il doping non è altro che un problema
iceberg di una cultura del biscotto, la cultura dell'aggirare le regole. I
valori dello sport sono altri. Invece si improvvisano nel mondo amatoriale
tapascioni che lo sport non sanno neppure cosa voglia dire, persone che per
finire una gara devono prendere per forza antinfiammatori, stimolanti, creme e
cremine, alcuni tagliano il percorso, qualcuno dà il chip all'amico più forte e
quando perdono, invece di dire “bravo lui, io dovrò allenarmi di più!” sento
dire “beh bisogna trovare il modo di raggiungerlo..…bè dovrei usare quel
prodotto quella crema, quella pillola... quelle calze compressive..” e si poi
per ultimo anche allenarmi di più.
E alla frase: “l'antinfiammatorio
non mi fa andare più forte, e poi è lecito…" rispondo che anche
l'autoemotrasfusione era lecita fino al 1984 e Moser ci ha fatto un record dell’ora.
E per ogni disciplina ci sono sostanze più determinanti di altre. Per esempio
nel tiro con l’arco un betabloccante che rilassa è fondamentale, mentre a un
rugbista che fa dell'aggressività il suo pane lo farebbe scadere di
prestazione.
Io corro da 10 anni le
ultramaratone.
L’ultramaratona per me è poesia,
eroismo, fatica, dolore, sudore, passione, .
Ma l’ultramaratona è anche
dolore. E più si corre con passione e spostando l’asticella più in alto, più si
rischia di incorrere nel dolore, che è parte integrante di questo sport.
Quindi, se per un ciclista
un'anfetamina che non FA SENTIRE LA FATICA è determinante, per
l’ultramaratoneta, che ha come chiave della riuscita dell’impresa la resistenza
alla fatica e la sopportazione al dolore, che è pari al sudore versato negli
allenamenti, allora anche un antinfiammatorio, che per me è sinonimo di
farmacia, lo considero moralmente un aiuto. Fatica e dolore nel mio sport vanno
di pari passo, ma è chiaro che per aggirare l'ostacolo come al solito bisogna
prendere qualcosa che copra l'ostacolo. .
Da non dimenticare, inoltre, il
pericolo che si corre “cancellando” temporaneamente il dolore con un
antidolorifico, portando però il corpo al limite quando internamente qualcosa
non va, sottovalutando l’insorgere invece di un problema, che sia un tendine
infiammato o uno strappo muscolare o qualsivoglia dolore. Prendere un
antidolorifico che ti permette di finire la tua gara non ti protegge dal
rischio di farti ancora più del male, perché se in quel momento ad esempio il
tuo tendine è “al limite” e lo porti all’estremo, peggiori ulteriormente le
cose, col rischio di doverti fermare per settimane se non mesi. Ne vale la
pena? Da atleta che corre per amore di questo sport credo proprio che sia da
coglioni, perché si deve pensare al dopo, al domani, alla gioia che proverai a
correre di nuovo.
Da ultramaratoneta ci dovresti
correre sopra, vedere fino a che punto riesci con le tue forze e la tua volontà
a resistere, ma con la tua intelligenza dovresti anche capire quando è il caso
di fermarti. Prendendo un antidolorifico finisci la tua gara, magari col tempo
che speravi, ma rischi di farti ancora
di più del male, perché vuoi camuffare un tendine che è magari al limite, ma se
lo porti all’estremo, rischi invece di doverti fermare per settimane se non per
mesi. Ne vale la pena? E’ ancora sport? Da atleta che corre per amore di questo
sport credo sia da coglioni, pensando invece al dopo, al domani, al piacere che
invece proverai correndo di nuovo rispetto alla rabbia di doverti fermare.
Tornando però al discorso
sull’aiutino lecito o non lecito, proviamo a immaginare un dialogo con un
atleta che la pensa diversamente.
Io: "Perché se senti dolore
e non riesci a sopportarlo non ti limiti a fare i 10000mt?"
Risposta: "Perché non mi
diverto."
"Si ma se devi andare in
farmacia per finire un ultramaratona …?”
“Ma non voglio neanche che
un'ultramaratona divertente diventi un'agonia portandomi un dolore dietro”.
Io: "L'ultramaratona ha il rischio quasi
certo di sentire dolore, di incontrare delle crisi, non sappiamo quando, non
sappiamo in che forma si manifesteranno, ma sappiamo che le dovremmo superare
con il nostro fisico e soprattutto con la nostra forza di volontà, per
sconfiggerle e arrivare alla fine. La chiave dell’ultramaratona è resistere
alle condizioni negative che ci arrivano dall'esterno come possono essere
grandine, caldo afoso, freddo, vento o dall’ interno, come può essere un dolore
a un ginocchio, crampi, un tendine infiammato, una crisi gastrointestinale, lo
si sa. L’ultramaratona è sfidare se stessi in condizioni difficili. Se bisogna
anestetizzare il dolore che è parte integrante della sfida di resistenza, parte
integrante della forza di volontà e di sopportazione, perché non usiamo anche
cortisone, anfetamina, insulina, una bella puntura di EPO…che non ci fa sentire
neppure la fatica? Caspita, perché non ci ho pensato prima? Oltre il dolore,
anche la fatica si può anestetizzare. La risposta più banale potrebbe essere: “Se
fossero leciti, come è lecito l'Aulin si, lo prenderei. Ma allora basta che una
sostanza sia lecita? Dicono che anche salire in auto per qualche km sia vietato
dal regolamento."
La sua risposta: "eh no, ma
quella è un'altra cosa, quella è scorretta!"
Io rispondo: "Se fosse
lecita e non ti squalificassero e la facessero tutti saliresti in auto? basta
che sia lecita o no una cosa per essere eticamente o no scorretta? Aggirare un
ostacolo tagliando un percorso oppure usando una sostanza che non ti fa sentire
la fatica e ti migliora il recupero che è illecita oppure usare una sostanza
lecita che non ti fa sentire un dolore, che è un evento conseguente al tuo
grado di allenamento ed è un fattore limitante nello sport di lunga
distanza…che differenza c’è?"
Per me non esiste più o meno
grave. Per me un aiuto per non accettare se stessi e il proprio livello di
allenamento, per non accettare un fattore limitante che può essere la distanza,
o la fatica o il dolore, è sempre una scorciatoia.
E come mi ha insegnato il mio
maestro dell’ultramaratona, A.A., le SCORCIATOIE possono darti vantaggio in
quel momento, ma a te stesso non ti arricchiscono, le SCORCIATOIE NON SERVONO A
NULLA.
Per cui, prima di puntare il dito
su Colnaghi che può anche aver sbagliato, prima di sparare sui campioni, che
per quello che posso vedere molti sono figure positive dello sport, come ad
esempio un Ivan Cudin e Monica Carlin solo per citare i primi due che mi
vengono in mente ora, prima di additare un atleta che sbaglia, facciamoci un
esame di coscienza sulla nostra cultura dello sport e guardiamoci attorno nelle
retrovie, persone che insultano giudici, i vigili, i passanti distratti , quegli
atleti che si lamentano coi volontari ai ristori, persone maleducate, nervose,
che bestemmiano perché la loro gara non va come speravano; e poi guardiamo i
primi della classe che si stanno giocando le posizioni di testa del Passatore,
sorridono, ringraziano e portano avanti i valori più alti dello sport.
Generalizzare è sempre sbagliato. Infatti non tutti sono così. Spero che mio
nipote Thomas possa crescere in un mondo migliore, che possa giocare al gioco
dello sport con impegno, sudore, ma anche col sorriso, senza barare, senza
cercare la scappatoia lecita per aggirare le regole, che collabori a far sì che
il mondo dello sport, di cui ho amato e amo tutt’ora la parte poetica, romantica, faticosa e
onesta, migliori, rinasca sul marcio e che a nessuno venga in mente che lo
sport sia aggirare gli ostacoli e
farmacia. Utopia? Io sono un romantico.
Gino Bartali prima di spegnersi, osservando
come si stava evolvendo l’uso di sostanze sempre più pericolose disse: “VERRA’
UN GIORNO CHE SU DUE CORRIDORI UNO FINIRA’ IN PRIGIONE E L’ALTRO AL CIMITERO.
NON SI POSSONO FARE COSE SUPERIORI A QUELLO CHE CI DICE IL NOSTRO FISICO”
Bravo Gianluca
RispondiEliminaLa scorciatoia è un triste modo per fregare se stessi. le sfide di Endurance prevedono come unico nemico la propria mente, se non te la senti di sfidarla... lascia perdere
RispondiEliminaConcordo completamente con quanto scritto sul doping e sulla scarsa cultura realmente sportiva ormai presente in uno sport assetato di soldi e di fama. voglio però scrivere due parole riguardo a Pietro Colnaghi perchè, conoscendolo bene, mi dà un certo fastidio vederlo associato a certe persone e anche a certi argomenti (anche se capisco perfettamente che chi non lo conosce da una vita come me e chi non lo frequenta quasi quotidianamente agli allenamenti, certe cose non le possa comprendere fino in fondo).
RispondiEliminaConosco Pietro da quando eravamo davvero piccoli e lo vedo ancora spessissimo agli allenamenti al campo.
Sono certo, certissimo, che purtroppo abbia sottovalutato la “pericolosità”, dal punto di vista del suo effetto dopante, di un farmaco preso per un fastidio ad un’anca che aveva negli ultimi tempi. Se c'è una cosa che spinge Pietro a correre non è certo la necessità di primeggiare o la fame di vittorie: è la passione. Ama correre. Semplicemente. Conoscendolo, dopo una cosa del genere, potrebbe tranquillamente ritirarsi dalle gare ma continuerebbe comunque a correre, ad allenarsi, solo perchè gli piace. Fa parte del paesaggio del nostro paesino (Carnate) come suo padre prima di lui. Se esci, a piedi, in macchina o in bici, sai che hai buone probabilità di incontrarlo da qualche parte mentre sgambetta...
Temo che in tutta questa storia abbiano giocato più fattori: una certa faciloneria, ignoranza (nel senso buono) e ingenuità da parte di Pietro che sicuramente non fanno venir meno le sue eventuali (fino almeno alle controanalisi) colpe ma le collocano su un altro piano e, in secondo luogo, la non abitudine, da parte di Pietro, a considerarsi un atleta importante che calca palcoscenici divenuti ormai importanti. Pietro è rimasto quello di sempre, amico di tutti e compagnone e, molto probabilmente, non si rende nemmeno conto del fatto che la sua passione lo ha portato a fare cose degne di nota e ad essere sotto l’occhio e la lente d’ingrandimento di molte persone. L'errore è stato davvero grossolano da parte di uno come Pietro che ormai è diventato un personaggio pubblico: il problema è che, fino ad ora, purtroppo, ancora non se ne era reso conto...
Odio il doping e odio i dopati e so che lo stesso vale per Pietro. Quando al mercoledì, giorno di lavori abbastanza pesanti in pista, si rientra in spogliatoio, quasi tutti cominciano a bere i loro beveroni, dal più semplice Gatorade all'R2 a altri integratori che favoriscono il recupero muscolare... Pietro ha la sua borraccetta d'acqua fredda...
Il problema è un po’ più ampio: risiede, secondo me, nell'impossibilità di distinguere vero doping da falso doping. Non è possibile che se uno prende un farmaco per un'allergia o un'infiammazione (e a chi non è successo), questo farmaco possa essere considerato doping alla stessa stregua di ormoni, epo o altro... Non è possibile che bere 5 caffè (che si riducono a un paio e una coca cola se il fisico è disidratato) ti faccia risultare dopato o che prendere un vicks sinex o un antiinfluenzale faccia altrettanto... So che è assurdo ma c'è doping di serie A e di serie B. Ci sono sostanze assunte con il solo scopo di migliorare le prestazioni atletiche (testosterone, epo, altri ormoni vari, ecc. ecc.) che non servono a curare malattie o fastidi comuni (non almeno malattie che un atleta di punta possa avere..) e ci sono sostanze contenute in farmaci d'uso assolutamente comune che possono essere presi con una normale ricetta medica per curare le patologie più comuni.
(continua)
Purtroppo non c’è distinzione tra i primi farmaci (usati con dolo sicuro) e i secondi (che possono sì essere assunti per dolo ma che possono anche essere presi, come sono sicuro sia successo in questo caso, per errore, per leggerezza o ingenuità)
RispondiEliminaUltima cosa, riferita a coloro i quali ritengono Pietro un professionista: Pietro si alza tutte le mattine e va a lavorare le sue 8-9 ore in fabbrica!!! Solo dopo, e a volte prima, va ad allenarsi come un amatore qualsiasi. I professionisti sono quelli che di atletica o di sport ci vivono: per Pietro è una passione, non un lavoro! A riprova di tutto questo, mentre tutti i suoi "rivali" alla 100km del Passatore avevano al seguito una macchina e un team a supportarli, Pietro era solo, completamente solo, con le sole proprie forze.
Pietro pagherà per la sua leggerezza e ingenuità (come è giusto che sia) anche se credo che la condanna peggiore, per lui che ha sempre criticato certi suoi rivali per questo, sarà quella di vedere su di sè, per sempre, quel marchio infamante che non merita di avere.
Tornerà a fare la 100km, ci tornerà senza essersi curato un'infiammazione all'anca e, son sicuro, andrà ancora più forte di come è andato quest'anno... e non ci sarà antidoping che tenga!